„Lettera da Budapest”, Il Pianoforte, II/5 (1921. május 15.), 153–154.
Gyűjteményes kiadás: BÖI, 740–742.; Essays, 471–473.; DocB/5, 80–85.
Forrás: BBA

Lettera da Budapest Durante la guerra, e specialmente dopo la disfatta del 1918, i frequentatori dei concerti di Budapest ebbero sempre meno frequenti occasioni di poter far la conoscenza di artisti stranieri. Anche oggi queste condizioni si modificano assai lentamente poichè gli artisti dell’Europa occidentale quasi non si possono pagare per la bassa valuta della nostra moneta. Dobbiamo quindi fare assegnamento solo sulle nostre proprie forze, cioè sugli artisti nazionali ; degli stranieri – quasi tutti della vicina Vienna – soltanto artisti di canto ci rallegrano di quando in quando coll’ arte loro. Pel momento tuttavia non possiamo lamentarci, dato che possediamo diversi artisti interpreti di primo ordine, i quali dedicano alla nostra città la maggior parte della loro attività artistica. Fra tutti si distingue l’illustre pianista e compositore Ernő Dohnányi. Non potremo mai essergli tanto riconoscenti quanto egli si merita, offrendo, ad onta delle nostre tutt’altro che rosee condizioni economiche, al benessere musicale dalla sua patria, durante gran parte della stagione, il suo magistero di pianista e di direttore. Nella scorsa stagione egli si produsse sopratutto a Budapest, dall’ottobre fino alla fine di gennaio. Non volendo in questo scritto parlare compiutamente della sua arte di interprete – il che ci riserviamo tuttavia di fare prossimemente – ci limiteremo alla semplice enumerazione delle più notevoli esecuzioni da lui offerte a Budapest durante il breve periodo di quattro mesi. Il solo numero di esse – egli si presentò come pianista solista, come pianista in musica da camera e come direttore, complessivamente sessantadue volte – è tale da destare stupore ! E se ciò non era per noi certamente di troppo, per lui, che per quattro mesi lavorò fino all’esaurimento per far partecipe il pubblico ungherese alla sua arte magnifica, si desiderava ansiosamente che risparmiasse maggiormente le sue forze. Ricordiamo innanzitutto il ciclo per l’anniversario di Beethoven, nel quale suonò tutte le « sonate » e tutte le altre più importanti opere per pianoforte ( « variazioni », « rondò », ecc.) in una serie di dieci concerti prima a Pest, poi nuovamente a Buda. Egli ci dette oltre a ciò cinque concerti con programma misto, ed ancora suonò in numerosi concerti e matinées pagine di musica da camera col quartetto Waldbauer-Kerpely e col violinista Emil Telmányi. Come direttore diresse gli otto primi concerti della nostra « Società Filarmonica » che egli – direttore durante il terzo anno di vita – portò ad un livello artistico non mai raggiunto innanzi da noi. Fra l’altro organizzò un concerto beethoveniano (II, V e VII sinfonie); in un altro entusiasmò gli uditori come solista e direttore ad un tempo, interpretando magistralmente il « concerto in sol maggiore » di Mozart. Un’ altra meraviglia fu la sua esecuzione, chiara, a larghe linee, del « Così parlò Zarathustra » di Strauss (che si eseguiva per la seconda volta in Budapest; la prima esecuzione n’era stata data nel 1902). Interessante fu pure l’esecuzione del « doppio concerto » per violino e cello di Brahms, con Waldbauer e Kerpely come solisti. I concerti della « Filarmonica » offersero, per quanto riguarda le novità, relativamente poco ; a ciò si opponeva la necessità di lunghe e numerose prove, che non erano possibili per ragioni finanziarie. Tuttavia potemmo udire l’opera giovanile di Strawinsky « Feuerwerk » (Fuochi d’artificio), la « Sinfonia da camera » di Schreker e le due « Canzoni » per baritono e orchestra di Zoltán Kodály. II piccolo lavoro in miniatura di Strawinsky abbagliò per la sua stupefacente istrumentazione, la « sinfonia » di Schreker deluse per la mancanza di uno stile veramente personale e per la sua ampollosità; le « canzoni » di Kodály fecero una impressione profondissima (a proposito di cui ritorneremo più dettagliatamente alla prossima occasione). Inoltre Dohnányi diresse in un concerto la « Messa in do maggiore » di Beethoven e all ‘« Opera » per tre volte la sua pantomima « Il velo di Pierette » (su libretto di Schnitzler), protagonista la signora Elsa Galafrès-Dohnányi. Esecuzioni degne di considerazione ci furono offerte pure dal quartetto formato di Waldbauer, Temesváry, Kornstein e Kerpely, il nostro migliore quartetto. (Di quartetti ne abbiamo diversi, tra cui ad es., quello Lehner, ben noto in Italia) . Il quartetto Waldbauer ci dette pure un ciclo beethoveniano eseguendo tutti i « quartetti » del Maestro, oltre ad una serie di concerti con programma misto. Dei programmi di quest’ultimi dobbiamo ricordare il « quartetto in re bem. maggiore » di Dohnányi, il « quartetto » di Ravel, il « duetto » di Kodály per violino e violoncello, il « trio » di Ravel (al pianoforte Béla Bartók) ed il « 2° quartetto » per archi di Bartók. Emil Telmányi, il nostro migliore violinista dopo Franz von Vecsey, si presentò diverse volte al pubblico durante un soggiorno di parecchie settimane. In un concerto alla « Filarmonica » suonò il « Concerto » di Mendelssohn; in un altro il « Concerto » di Beethoven; egli ci dette inoltre due concerti come solista e due di « Sonate » con Dohnányi. La sua interpretazione decisamente virile gli fruttò la generale approvazione. Il più grande dei nostri pianisti contemporanei, Theodor Szántó comparve a Budapest dopo la sua « tournée » di concerti all’estero nel mese di febbraio. Diede un concerto orchestrale ( « concerto » per pianoforte di Delius, « concerto in mi bem. magg. » di Beethoven e « Totentanz » di Liszt), concerti da solo e di musica da camera. Fra i pochissimi artisti stranieri ricordiamo Emil Sauer, caro a noi fin dal tempo passato (in ottobre due « recitals » come solista), e il quartetto viennese Rosé (due concerti). Dobbiamo essere specialmente riconoscenti a quest’ ultimo per aver osato eseguire il « quartetto op. 7 » di Schönberg. L’opera interessantissima stupì, è vero, il grosso del pubblico – molti non attesero la fine del lavoro che dura 50 minuti e lasciarono silenziosamente la sala durante l’esecuzione – ; ma una piccola schiera di buongustai e di musicisti (per la maggior parte giovani) salutò con vera soddisfazione la composizione, avendo soltanto un desiderio, quello di risentirla nuovamente. In un secondo concerto il quartetto Rosé suonò col quartetto Waldbauer l’ «ottetto» di Mendelssohn, che si eseguisce assai raramente. Tra gli artisti stranieri di canto udimmo il distinto cantante finlandese di oratorio Helge Lindberg, e Berta Kiurina (dello Staatsoper di Vienna) sulla scena. E quest’ ultima pure in concerto. Ciò che nella vita musicale dovrebbe essere la cosa più importante, la scena lirica, è da noi pel momento, purtroppo, in uno stato così penoso, che al riguardo non si possono dare che cattive informazioni. Abbiamo sì due teatri d’ opera, l’« Opera Reale » e quella « Municipale », ma purtroppo una è peggiore dell’altra. La prima possiede, è vero, alcuni artisti di canto veramente di prim’ ordine, come per esempio Béla Környei, la signora Erzsi Sándor, Franz von Székelyhidy, la signora Olga Haselbeck, ma il suo livello artistico per quanto riguarda la direzione dell’istituto, dopo l’uscita nell’autunno 1919 dell’ eccellente direttore d’orchestra Egisto Tango, la cui opera fra il 1913 ed il 1918 rappresentò una vera fortuna per l’istituzione, è talmente basso, che oggi perfino le imprese più semplici non vengono condotte a termine con soddisfazione. Caratteristico per le sue condizioni è il fatto che in questa stagione non si è avuta neppure una « prima » rappresentazione… Il « Teatro Municipale » dà alternativamente operette ed opere richieste dal pubblico ; i suoi artisti sono inferiori a quelli dell’« Opera Reale », cosicchè le rappresentazioni non hanno alcuna importanza dal punto di vista artistico. BÉLA Bartók